Martin Heidegger fu un filosofo tedesco il cui lavoro è spesso associato alla fenomenologia e all'esistenzialismo, sebbene il suo pensiero debba essere identificato con tali movimenti solo con estrema cautela. Le sue idee hanno profondamente influenzato lo sviluppo della filosofia europea contemporanea, estendendo il loro impatto ben oltre i confini tradizionali. L'evidenza della sua portata si trova in campi come la teoria architettonica, la critica letteraria, la teologia, la psicoterapia e le scienze cognitive, a testimonianza dell'ampiezza e della profondità dei suoi contributi filosofici.
Nuova edizione ampliata. «Come Nietzsche aveva riconosciuto in Wagner il suo unico antagonista esistente e con ciò gli aveva tributato il più grande onore, così Heidegger ha dedicato a Nietzsche il suo scritto più articolato che tratti di un pensatore moderno, anche se in questo caso cronicamente inattuale, dandogli il supremo onore di definirlo “l'ultimo metafisico dell'Occidente”. E come Nietzsche si distacca in tutto dagli oppositori di Wagner, così Heidegger non ha molto a che fare con tutte le generazioni di critici e biasimatori di Nietzsche – è molto di più, è l'unico che risponda a Nietzsche». - Roberto Calasso
Quest'opera dall'aura esoterica – stesa tra il 1936 e il 1938 sull'orlo di una drammatica crisi filosofica e personale, ma pubblicata solo nel 1989 – è il tentativo più organico e coerente compiuto da Heidegger per riorganizzare il suo pensiero dopo la cosiddetta «svolta». Prende dunque forma un universo speculativo nuovo e sorprendente rispetto a quello di Essere e tempo: entrano in scena l'interpretazione della metafisica come oblio dell'Essere, la diagnosi storico-epocale del nichilismo e della tecnica, il confronto con Nietzsche e con Hölderlin, la dottrina dell'"ultimo Dio» e di un «altro inizio» della storia. In realtà già alla fine del capolavoro del 1927 si profilava l'esigenza di rovesciare la teoria quasi trascendentale dell'esserci per considerare non solo il suo puro autoprogettarsi, ma anche l'immemoriale e insondabile provenienza della sua finitudine dalla storia dell'Essere. Con il pensiero della «svolta», cui quest'opera dà corpo, Heidegger teorizza la coappartenenza di Essere ed esserci in quell'«evento-appropriazione», l'Ereignis, con cui l'Essere si affida all'esserci in un'alternanza di donazioni e sottrazioni, concessioni e rifiuti, manifestazioni e occultamenti, che ritmano le «epoche» della storia.
In questo corso universitario, tenuto a Friburgo nel semestre invernale 1942/1943, il nome di Parmenide sta per tutto ciò che esso rappresenta: il pensiero aurorale dei greci quale inizio e fondamento della civiltà occidentale. Heidegger orchestra una polifonia sorprendentemente ampia di motivi, in cui Parmenide diventa il pre-testo per trattare temi e problemi quali la verità, la giustizia, la politica, il divino.
L'interesse di Heidegger per Aristotele, testimoniato da questo corso universitario che il filosofo tenne nel 1924, si colloca nel periodo cruciale dell'elaborazione dell'analitica ontologico-esistenziale di Essere e tempo. In particolare, nell'analisi della Retorica aristotelica compaiono già, in nuce, alcuni 'concetti fondamentali della filosofia heideggeriana' - come Dasein (esserci), In-der-Welt-sein (essere nel mondo) e Befindlichkeit (il sentirsi situato, la situatività, e anche la situazione emotiva) - destinati a lasciare un segno indelebile nella filosofia del Novecento. Ma, soprattutto, Heidegger si impegna qui - come raramente in seguito - in una brillante fenomenologia dei páthe, delle "passioni", e del ruolo determinante che esse svolgono nella vita e nell'esistenza dell'uomo. La messa in questione del tradizionale privilegio accordato agli atti intellettivi superiori che questo implica suggerisce l'idea che siano costitutivi dell'uomo, allo stesso titolo della ragione, anche gli elementi 'inferiori', quali la sensibilità, le affezioni e le passioni
Se nei primi anni Venti il giovane Heidegger, ancora assistente di Husserl, aveva interrogato soprattutto Aristotele, divenuto professore a Marburgo inizia, con le dense lezioni universitarie qui raccolte - fondamentali nell'evoluzione del suo pensiero -, un cammino a ritroso che penetra nelle maglie concettuali di Platone. Ed è in questo percorso che matura quell'indagine sulla questione dell'essere che illuminerà, di lì a breve, l'analitica di Essere e tempo, e rimarrà sempre cifra ispiratrice di tutta la speculazione heideggeriana. Nell'abbordare il problema ontologico per via negationis, attraverso la ricostruzione dello statuto del non-essere, del nulla - cruciale per tutto l'Occidente sin da Parmenide -, Heidegger mostra come sia dunque di importanza centrale la definizione del «sofista», nucleo dell'omonimo dialogo platonico. Assumendo infatti che egli professi pensieri privi di sussistenza, e affermi cose che non sono, si ammette implicitamente - contro il divieto di Parmenide - la realtà di ciò che non è. Ne consegue l'inevitabilità di una riflessione sul «nulla» - il che obbliga a un fondamentale ripensamento della questione dell'essere.La rigorosa chiarificazione storico-filosofica - prima ancora che filologica - del testo platonico (ma anche di decisivi passaggi di Aristotele) fa così emergere nel cuore del Novecento la domanda più radicale - e ineludibile: perché l'essere e non piuttosto il nulla?