Nel gennaio 1979 un fremito di orrore e vergogna sconvolse venti milioni di tedeschi. A innescare un tale sussulto morale collettivo, di una radicalità mai registrata dalla fine della guerra, fu una miniserie televisiva di produzione americana, "Holocaust", con James Woods e Meryl Streep. Una narrazione cinematografica piuttosto convenzionale aveva trovato il varco emotivo per raggiungere una zona opaca della coscienza nazionale, rimasta inerte per decenni, inaccessibile nonostante la schiacciante massa documentale sulla Shoah. Tra le innumerevoli prese di posizione, gli interventi, le riflessioni che dilagarono nel discorso pubblico si segnalano come vere folgorazioni queste note diaristiche di Günther Anders. I suoi lampi di pensiero rischiarano ciò che allora nessuno realizzò con altrettanta per entrare nel campo visivo di un intero popolo, la rappresentazione dello sterminio andò "rimpicciolita" a misura percettiva umana. Solo cosi, attraverso i protagonisti di un modesto film, riacquistarono fattezze di individui le vittime di un crimine oscurato dalla propria smisurata contabilità. E solo così per i tedeschi fu possibile spezzare quel paradigma della non-colpa che li aveva esonerati dal rimorso.
Günther Anders Ordine dei libri
- Reinhold Hoffmann
- Günther Christian






- 2014
- 2012
- 2008
Nel luglio 1966 Gunther Anders, in compagnia della terza moglie Charlotte Zelka, raggiunge la Polonia. I luoghi visitati dovrebbero stare sotto segni opposti: l'orrore innominabile di Auschwitz, a cui l'ebreo Anders è scampato perché esule negli Stati Uniti, che cosa ha da spartire con il paesaggio affettivo di Breslavia, la città della Slesia che lo vide nascere e andarsene appena adolescente, quando ancora il suo cognome era Stern? Degermanizzata dopo la guerra, nel nuovo ordine geopolitico la Breslau di un tempo è ormai la polacca Wroclaw, e il tentativo di riconoscervi tracce familiari è destinato allo scacco. Nessun idillio della memoria conforterà il sopravvissuto Anders-Stern nella "Heimat", sconvolta per sempre dalla dismisura di ciò che accadde. Ad attenderlo, solo lo spaesamento e il mondo tellurico delle ombre, dove l'appartenenza assume l'aspetto inquietante dell'estraneità. "Cio che spaventa non è quello che non c'è più, non il vuoto, ma al contrario le cose che, casualmente, continuano a esserci nel vuoto che in realtà ci aspettiamo." Un pellegrinaggio infero tra unicità del ricordo individuale e grande storia, dove ancora una volta l'acutissimo sguardo di Anders mette a nudo la modernità in disfacimento.
- 2006
Fin dal primo nucleo di questo libro, la conferenza Teologia senza Dio che Anders tenne da esule a Parigi nel 1934, la maggiore preoccupazione dell’autore è di mettere in guardia davanti al fenomeno Kafka, presentendo che questi (sconosciuto a tutti i convenuti, tranne Walter Benjamin e Hannah Arendt) era destinato a divenire uno dei paradigmi della letteratura e dell’immaginario del Novecento, e che quindi sarebbe ben presto sfuggito alla ridotta gittata delle armi tradizionali della critica letteraria. E in effetti, già alla sua uscita nel 1951, Kafka. Pro e contro appare come un atto di lesa maestà, e lo stesso Max Brod, responsabile materiale della trasmissione ai posteri di buona parte dell’opera kafkiana, lo critica aspramente, provocando una polemica che qui per la prima volta è accessibile al lettore italiano. In appendice la recensione critica di Max Brod: Assassinio di un fantoccio chiamato Franz Kafka, la replica di Anders e la controreplica di Brod (1952) A cura di Barnaba Maj Traduzioni di Paola Gnani e Stefania Dalena
- 2004
Quando le diede alle stampe nel 1986, a circa quarantan-ni dalla loro stesura durante l'esilio americano, queste pagine di diario stupirono lo stesso Anders per la loro consonanza con gli sviluppi posteriori del suo pensiero, quasi fosse stato precursore di se stesso. In una scrit-tura che di privato ha solo il guizzo idiosincratico di chi appunta piccole evenienze e ci ragiona, e non il com-piacimento intimistico di chi rovista nell'io, fa qui le prime prove lo stile "occasionale" a cui Anders non avrebbe più rinunciato. E di "occasioni" era prodiga, per chi veniva da oltreoceano, una quotidianità do-minata dalle "potenze conformanti" della ratio pro-duttiva e della malintesa disinibizione. Dalla tavolozza tematica a cui avevano attinto anche Adorno e Horkheimer Anders preleva soprattutto elementi utili a una futura "storia dei sentimenti". L'arretratezza dell'anima, che verrà messa al centro delle opere maggiori, qui è presagita nella socialità di una festa nuziale, nello stordimento dei giovani rampolli di college, puritani inconsapevoli, nel "vuoto linguistico" che concede alla sessualità solo il "libertinismo verbale" della chiacchiera psicoanalitica, nella via breve del funzionale, che azzera la via lunga e traversa della cultura umana. A contrappunto, l'affiorare di relitti del passato europeo trasforma questi frammentari prolegomeni a una storia mai scritta in una illuminante comparatistica delle forme d'amore
- 1998
- 1992
In questo libro del 1956, Günther Anders muove dalla diagnosi della "vergogna prometeica", cioè dalla diagnosi della subalternità dell'uomo, novello Prometeo, al mondo delle macchine da lui stesso create, per affrontare il tremendo paradosso cui la bomba atomica ha posto di fronte l'umanità, costringendola fra angoscia e soggezione. La vergogna prometeica è legata anche a un senso di "dislivello", di non sincronicità, tra l'uomo e i suoi prodotti meccanici che, sempre più nuovi ed efficienti, lo oltrepassano, facendo sì che egli si senta "antiquato". Oltre che perfetta la macchina è ripetibile, standardizzata, riproducibile in esemplari sempre identici; quindi possiede una specie di eternità che all'individuo umano è negata. Di qui, una rivalità, una impari gara dell'uomo, una inversione dei mezzi con i fini, di cui Anders analizza con grande anticipazione tutta la portata. In particolare, là dove tratta delle tecniche di persuasione, soprattutto televisive e radiofoniche, che ci assediano con immagini-fantasma, irreali, di fronte alle quali l'individuo diventa passivo, maniaco, incapace di pensare e comportarsi liberamente.