Lo sapevo, in cuor mio. Lo sapevo che sarebbe stata una lettura difficile. Di quelle che ti scavano dentro con dita invisibili, lasciandoti un nodo in gola e domande che fanno eco nella mente anche dopo l’ultima pagina. Eppure l’ho portata a termine. Non è il primo libro che mi provoca questo effetto, ma ogni volta è come se fosse la prima. Oriana Fallaci non scrive: affonda. Con parole che sanno essere lama e carezza, ci regala un monologo dirompente, intimo, feroce, umano. È una donna che parla a un figlio che forse non nascerà mai, ma è anche una donna che parla al mondo intero: alla maternità come scelta e non come destino, alla libertà, alla paura, alla forza che a volte vacilla e a volte esplode. È un libro che non si legge: si attraversa. Ti costringe a metterti a nudo, a pensare, a ricordare, a decidere. E anche se a tratti fa male, è un dolore che vale la pena sentire. Perché ogni parola, ogni esitazione, ogni strappo della protagonista è una verità che brucia ancora oggi. L’ho finito con rispetto. Con fatica. Ma anche con una gratitudine silenziosa per aver avuto il coraggio di leggerlo fino in fondo. E, forse, per aver sentito qualcosa che non tutti vogliono o riescono a sentire.
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Lettera a un bambino mai nato, Oriana Fallaci
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- 1997
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