Il libro raccoglie i 29 quaderni manoscritti sui quali Hannah Arendt annotò, nel corso della sua vita, i suoi pensieri, le sue letture, i suoi progetti, le sue suggestioni. È un'opera unica in cui si manifesta in tutta la sua pienezza l'originale riflessione di una delle pensatrici fondamentali del Novecento. Hannah Arendt vi appunta i pensieri nel momento della loro insorgenza, come materiali di un laboratorio di idee da meditare e sviluppare. Platone, Kant, Marx, Nietzsche, Montaigne, i suoi maestri, Jaspers e Heidegger, affiorano in queste pagine, così come i temi fondamentali della sua ricerca: il problema del male e l'assenza di pensiero che lo caratterizza, il carattere etico della conoscenza, la verità dell'agire politico. Più di ogni altra cosa colpisce come l'esistenza sia per Hannah Arendt "un esperimento, oltre che un'esperienza; il banco di prova del suo pensiero" (la Repubblica).
Hannah Arendt Libri
Hannah Arendt fu una delle pensatrici politiche più influenti del ventesimo secolo. Il suo lavoro si addentra nelle profondità dell'esperienza umana, offrendo profonde intuizioni sulla natura del totalitarismo, sull'azione umana e sulle categorie fondamentali della vita. Attraverso i suoi saggi e studi approfonditi, ha esplorato la rivoluzione, la libertà e l'autorità, sostenendo una comprensione del pensare, del volere e del giudicare. L'eredità di Arendt continua a suscitare riflessioni sulle complessità del mondo moderno e sull'essenza dell'esistenza umana.







Quando Hannah Arendt e Hermann Broch si incontrarono per la prima volta nel maggio del 1946, lui aveva sessant'anni, lei quaranta. La Arendt doveva ancora pubblicare i suoi libri più importanti, Broch invece con "La morte di Virgilio" aveva raggiunto l'apice della celebrità come scrittore. Entrambi appartenenti a famiglie ebree assimilate, in Germania quella di lei, in Austria quella di lui, subirono l'odio razziale nazista e infine trovarono in New York la prima tappa del loro esilio americano. Il carteggio, proposto nella traduzione di Vito Punzi, documenta una stretta amicizia. Broch era affascinato dal coraggio e dall'energia intellettuale della Arendt; la quale considerava "La morte di Virgilio" una delle più importanti opere letterarie della modernità, punto di congiunzione tra i romanzi di Proust e di Kafka. La corrispondenza getta luce sulle condizioni dell'esilio nei primi anni del secondo dopoguerra e presenta dibattiti su Albert Camus e Arthur Koestler, sulla situazione nella Germania di allora, su filosofi come Martin Heidegger e Karl Jaspers, sul tema dei diritti umani, in quegli anni oggetto dell'attenzione sia della Arendt sia di Broch. Il carteggio termina con la morte improvvisa di Broch, nel 1951.
Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo, in aereo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di quindici imputazioni, avendo commesso, 'in concorso con altri', crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l'umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista, in particolare durante la seconda guerra mondiale." Hannah Arendt va a Gerusalemme come inviata del New Yorker. Assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il giornale sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro al caso Eichmann. Ne nasce un libro scomodo: pone le domande che non avremmo mai voluto porci, dà risposte che non hanno la rassicurante certezza di un facile manicheismo. Il Male che Eichmann incarna appare alla Arendt "banale", e perci" tanto più terribile, perché i suoi servitori più o meno consapevoli non sono che piccoli, grigi burocrati. I macellai di questo secolo non hanno la "grandezza" dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano.
"Si ha il diritto ai 'diritti dell'uomo' se non si è cittadini?" si chiedeva Hannah Arendt nel suo Le origini del totalitarismo. La sua non era una domanda retorica perché l'antisemitismo moderno inaugura un fenomeno nuovo nella storia contemporanea. Se inquadrato e analizzato a partire non tanto dalla pratica dello sterminio, bensì dal sistema di regole che lo precede, il problema dell'antisemitismo moderno rinvia al fatto che nella società civile si può diventare cittadini, ma si può percorrere anche l''iter' opposto: la retrocessione "da cittadino a straniero". Hannah Arendt ha sperimentato a lungo, con sofferenza accompagnata da estrema lucidità intellettuale, la sua condizione di 'apolide': straniera al mondo tedesco, osteggiata dalla sinistra e in conflitto radicale con il mondo ebraico di cui non condivideva atteggiamenti e scelte politiche. "Radicalità e solitudine" è il binomio della meditazione cui Hannah Arendt ritorna costantemente in questi scritti che coprono l'arco di più di venti anni fino al suo scambio epistolare con il grande storico della mistica ebraica Gershom Scholem, che, a proposito del suo libro su Eichmann ("La banalità del male"), la accusa di non amare il popolo ebraico. "Io non 'amo' gli ebrei," gli risponde Hannah Arendt, "sono semplicemente una di loro."
Un saggio sul rapporto tra benessere economico e libertà, tra agire politico e mera difesa degli interessi: spregiudicata analisi della società di massa e accorata denuncia della condizione dell'uomo.
