Un diario, un taccuino di lavoro, un romanzo totale in cui ogni frammento di vita è raccolto e restituito alla parola. Una miniera smagliante, dove può essere trovato di tutto: visioni, riflessioni sullo scrivere, aforismi, disarmanti confessioni, romanzi di una frase, esercizi di parodia. Gli abbandoni fantastici si alternano a nitide descrizioni della natura, le severe autoanalisi si affiancano a momenti di intensa felicità, la paura della solitudine si mescola all'orgoglio della solitudine (dello scrittore). Una sottile e resistente linea tematica corre ininterrotta per tutto il libro di Peter Handke, saldando tutte le sue parti: è il processo per cui la vita si trasforma in arte, per cui l'arte tutto succhia ed usa della vita. Lo scrittore, gettando nella pagina i frammenti di un'autobiografia interiore, racconta in realtà la vita mentre si fa rappresentazione, descrive l'impresa «epica» dell'artista. E il lettore, entrando nel laboratorio dello scrittore (di uno dei maggiori scrittori contemporanei), si trova a leggere il romanzo di come lo scrittore giunge a realizzarsi. Libro che racchiude tutti gli altri libri, "La storia della matita" svela così anche una propria individualità, si afferma come libro diverso da tutti gli altri.
Peter Handke Libri
Peter Handke è un romanziere e drammaturgo austriaco noto per i suoi contributi d'avanguardia. La sua opera si addentra profondamente nella psiche umana e nel mondo, enfatizzando spesso l'esperienza soggettiva e la sperimentazione linguistica. I testi di Handke esplorano i confini della percezione e della comunicazione, giocando sia con la forma che con il contenuto. La sua importanza letteraria risiede nella continua ricerca di nuove forme di espressione e nella profonda contemplazione sull'essenza dell'esistenza.







Considerato uno dei maestri indiscussi della letteratura in lingua tedesca, Peter Handke ha celebrato una sorta di giubileo professionale: più di cinquant’anni dedicati alla scrittura e, inevitabilmente, alla lettura. In queste pagine in cui si racconta e si mette a nudo, alle opere si intrecciano i giorni – come vuole il titolo del poema di Esiodo – e ai giorni le opere, perché per Handke scrivere e leggere sono l’essenza stessa del vivere. Questo libro ci fa conoscere non solo uno scrittore e un lettore raffinato, lo sfondo culturale entro cui si è formata la sua vena artistica, le sue origini di autore austriaco carinziano profondamente vicino alla cultura slava, ma anche il suo profilo di autore internazionale, flâneur parigino e giramondo, cinefilo appassionato di western, intellettuale che prende posizioni politiche a volte anche scomode, e ne dà conto, facendo chiarezza su episodi che hanno fatto scalpore. Libri, letture, passioni, episodi di vita vissuta ma soprattutto una straordinaria fenomenologia dell’esperienza del leggere, che significa per Handke ascoltare, origliare, sussurrare, rallentare il passo, studiare, imparare, mettersi in viaggio, esplorare se stessi e il mondo… Sempre nel segno di un’idea molto precisa di letteratura «seria», che è quella classica, antica ed eternamente nuova, capace di pervadere di bellezza e di trasfigurare il lettore.
Prendendo spunto da Goethe, «maestro del dire essenziale», Handke propone in questo poemetto una sua personale ricerca sul concetto di durata, l'entità che fornisce contorno a quanto ha la tendenza a dissolversi. Connessa al ripetersi degli eventi quotidiani, ma al contempo svincolata dalla permanenza in luoghi o itinerari consueti, la sensazione della durata è l'esito della fedeltà a ciò che l'individuo sente come più profondamente proprio: fedeltà al divenire di una persona, fedeltà a «certe piccole cose» che ci accompagnano «in tutti i traslochi», fedeltà infine a determinati luoghi, un lago, una piazza, una sorgente alla periferia di Parigi. La durata tuttavia non esiste a priori, bisogna cercarla, andarle incontro, trovare un punto di mai definitiva, instabile quiete. La poesia - dice Handke - è uno dei migliori supporti in questa ricerca interiore. Ed è dunque naturale che questo libro di meditazione filosofica sia stato scritto in versi, quasi per bussare alla porta di quella condizione sapienziale tipica della poesia di ogni tempo.
Un eroe tragicomico è il protagonista di questa originalissima storia. Avvocato di grido impegnato nei tribunali internazionali a difendere i criminali di guerra, è felicemente sposato con l’amore della sua vita e in attesa di un figlio. Proprio poco dopo il matrimonio, l’uomo trova, per caso, nel bosco fuori dalla città in cui abita, un fungo porcino. Questo tesoro riaccende la sua antica passione, che l’aveva spinto da ragazzo a battere sentieri e radure alla ricerca di funghi per guadagnare qualche soldo. La passione però diventa totalizzante, pian piano si trasforma in vera mania, spingendolo a trascurare la professione, la famiglia, la moglie adorata, il figlio in arrivo, per dedicarsi a una ricerca che, analoga a quella dello scrittore, non si appaga mai della scoperta ed è sempre fine a se stessa…
Nel giugno-luglio del 1996, circa sei mesi dopo il primo viaggio in Serbia, Handke compie, con gli stessi compagni di allora, un secondo viaggio, spingendosi questa volta anche oltre la Drina in territorio bosniaco e raggiungendo Srebrenica, teatro di uno dei più spaventosi episodi della "pulizia etnica" perpetrata da Karadzic. Gli spunti polemici dell'autore sono rivolti in particolare contro la manipolazione della realtà da parte dei mezzi di comunicazione di massa. Handke cerca l'"altra realtà delle cose". Anche in questo libro prosegue inoltre il suo discorso poetico pur affrontando un tema all'apparenza lontano da quelli da lui trattati abitualmente.
Uno scrittore, reduce da un periodo di crisi, s’incammina per la città dopo un pomeriggio di lavoro. Attraversa strade e piazze, giunge alla periferia e rientra a casa quando l’oscurità è già calata. Che accada poco, in queste pagine, è pura apparenza: si tratta del resoconto di un viaggio attraverso il mondo intero. Lo scrittore racconta del suo scrivere e del prezzo che per questo deve pagare, della sua vita e del poco tempo che gli rimane dopo i momenti di più intenso lavoro: una leggera pigrizia, il piacere di girovagare, la distaccata percezione delle cose quotidiane e dei particolari più insignificanti. E tutto rientra nello scrivere: assieme a un dubbio costante, nei confronti di se stesso e degli altri. Sotto il sole pomeridiano, alla luce del crepuscolo e poi dell’oscurità notturna, Peter Handke percorre una lunga strada attraverso la città e attraverso se stesso, offrendo al lettore una profonda riflessione su una letteratura che si alimenta nel concreto rapporto con la realtà.
Ad aprire il nuovo libro di Peter Handke, definito dall’autore stesso «Ultimo Epos», è una puntura d’ape, la prima dell’anno, che in una giornata di mezza estate rappresenta per lui un segnale. È il momento di lasciare la «baia di nessuno», la casa nei pressi di Parigi, per mettersi in cammino verso la regione quasi disabitata della Piccardia, ripercorrendo l’itinerario compiuto, in un passato non meglio definito, dalla ladra di frutta. La ragazza – un personaggio sfuggente, dai tratti leggendari – «afflitta dalla smania di vagare» e incline a scartare dalla strada maestra per «sgraffignare» e assaporare i frutti di orti e frutteti, è partita invece con un intento preciso: ritrovare la madre, scomparsa da circa un anno dopo aver lasciato senza preavviso il suo posto di dirigente in una banca. Il viaggio della ladra di frutta e quello del narratore finiscono per sovrapporsi, per confondersi, per specchiarsi l’uno nell’altro: una serie di peripezie, incontri, folgorazioni ispirate dal contatto con la natura, che culminano in una grande festa. E questa sarà un approdo e un ricongiungimento, ma anche l’occasione per celebrare il vagare, l’erranza fine a se stessa, tutte quelle deviazioni dal tracciato che regalano visuali e doni inaspettati, come i frutti presi di soppiatto dai frutteti altrui. Il «semplice viaggio nell’entroterra» è ricco di rivelazioni e scoperte, e diventa, o forse è sempre stato, anche un percorso interiore.