Lo sapevo, in cuor mio. Lo sapevo che sarebbe stata una lettura difficile. Di quelle che ti scavano dentro con dita invisibili, lasciandoti un nodo in gola e domande che fanno eco nella mente anche dopo l’ultima pagina. Eppure l’ho portata a termine. Non è il primo libro che mi provoca questo effetto, ma ogni volta è come se fosse la prima. Oriana Fallaci non scrive: affonda. Con parole che sanno essere lama e carezza, ci regala un monologo dirompente, intimo, feroce, umano. È una donna che parla a un figlio che forse non nascerà mai, ma è anche una donna che parla al mondo intero: alla maternità come scelta e non come destino, alla libertà, alla paura, alla forza che a volte vacilla e a volte esplode. È un libro che non si legge: si attraversa. Ti costringe a metterti a nudo, a pensare, a ricordare, a decidere. E anche se a tratti fa male, è un dolore che vale la pena sentire. Perché ogni parola, ogni esitazione, ogni strappo della protagonista è una verità che brucia ancora oggi. L’ho finito con rispetto. Con fatica. Ma anche con una gratitudine silenziosa per aver avuto il coraggio di leggerlo fino in fondo. E, forse, per aver sentito qualcosa che non tutti vogliono o riescono a sentire.
Maggiori informazioni sul libro
This work is written as a letter by a young professional woman (presumably Fallaci herself) to the fetus she carries in utero; it details the woman's struggle to choose between a career she loves and an unexpected pregnancy, explaining how life works with examples of her childhood, and warning him/her about the unfairness of the world
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Letter to a Child Never Born, Oriana Fallaci
- Lingua
- Pubblicato
- 1976
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- (Copertina rigida)
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